Lettera di Belisario a Totila

Procopio di Cesarea, De bellis, VII (De bello Gothico, II) 22, 8-16.

[…] Πόλεως μὲν κάλλη οὐκ ὄντα ἐργάζεσθαι ἀνθρώπων ἂν φρονίμων εὑρήματα εἶεν καὶ πολιτικῶς βιοτεύειν ἐπισταμένων, ὄντα δὲ ἀφανίζειν τούς γε ἀξυνέτους εἰκὸς καὶ γνώρισμα τοῦτο τῆς αὑτῶν φύσεως οὐκ αἰσχυνομένους χρόνῳ τῷ ὑστέρῳ ἀπολιπεῖν. Ῥώμη μέντοι πόλεων ἁπασῶν, ὅσαι ὑφ̓ ἡλίῳ τυγχάνουσιν οὖσαι, μεγίστη τε καὶ ἀξιολογωτάτη ὡμολόγηται εἶναι. οὐ γὰρ ἀνδρὸς ἑνὸς ἀρετῇ εἴργασται οὐδὲ χρόνου βραχέος δυνάμει ἐς τόσον μεγέθους τε καὶ κάλλους ἀφῖκται, ἀλλὰ βασιλέων μὲν πλῆθος, ἀνδρῶν δὲ ἀρίστων συμμορίαι πολλαί, χρόνου τε μῆκος καὶ πλούτου ἐξουσίας ὑπερβολὴ τά τε ἄλλα πάντα ἐκ πάσης τῆς γῆς καὶ τεχνίτας ἀνθρώπους ἐνταῦθα ξυναγαγεῖν ἴσχυσαν. οὕτω τε τὴν πόλιν τοιαύτην, οἵανπερ ὁρᾷς, κατὰ βραχὺ τεκτηνάμενοι, μνημεῖα τῆς πάντων ἀρετῆς τοῖς ἐπιγενησομένοις ἀπέλιπον, ὥστε ἡ ἐς ταῦτα ἐπήρεια εἰκότως ἂν ἀδίκημα μέγα ἐς τοὺς ἀνθρώπους τοῦ παντὸς αἰῶνος δόξειεν εἶναι· ἀφαιρεῖται γὰρ τοὺς μὲν προγεγενημένους τὴν τῆς ἀρετῆς μνήμην, τοὺς δὲ ὕστερον ἐπιγενησομένους τῶν ἔργων τὴν θέαν. τούτων δὲ τοιούτων ὄντων ἐκεῖνο εὖ ἴσθι, ὡς δυοῖν ἀνάγκη τὸ ἕτερον εἶναι. ἢ γὰρ ἡσσηθήσῃ βασιλέως ἐν τῷδε τῷ πόνῳ, ἢ περιέσῃ, ἂν οὕτω τύχοι. ἢν μὲν οὖν νικῴης, Ῥώμην τε καθελών, οὐ τὴν ἑτέρου του, ἀλλὰ τὴν σαυτοῦ ἀπολωλεκὼς ἄν, ὦ βέλτιστε, εἴης, καὶ διαφυλάξας, κτήματι, ὡς τὸ εἰκός, τῶν πάντων καλλίστῳ πλουτήσεις: ἢν δέ γε τὴν χείρω σοι τύχην πληροῦσθαι ξυμβαίη, σώσαντι μὲν Ῥώμην χάρις ἂν σώζοιτο παρὰ τῷ νενικηκότι πολλή, διαφθείραντι δὲ φιλανθρωπίας τε οὐδεὶς ἔτι λελείψεται λόγος καὶ προσέσται τὸ μηδὲν τοῦ ἔργου ἀπόνασθαι. καταλήψεται δέ σε καὶ δόξα τῆς πράξεως ἀξία πρὸς πάντων ἀνθρώπων, ἥπερ ἐφ̓ ἑκάτερά σοι τῆς γνώμης ἑτοίμως ἕστηκεν, ὁποῖα γὰρ ἂν τῶν ἀρχόντων τὰ ἔργα εἴη, τοιοῦτον ἀνάγκη καὶ ὑπὲρ αὐτῶν ὄνομα φέρεσθαι […].

 

Belisario difende Roma dai Goti. Illustrazione di P. Dennis.

 

«Gli uomini saggi e che apprezzano le leggi del vivere civile sono soliti rendere adorne di belle opere d’arte le città che non ne possiedono; è invece proprio degli uomini stupidi saccheggiarle dei loro ornamenti, tramandando così ai posteri, senza vergogna, il ricordo della loro pravità. Ora, di tutte le città su cui splende la luce del sole, Roma è la più grande e la più maestosa. Infatti, essa è il risultato non dello sforzo di un solo uomo, ma di tutta una lunga serie di imperatori; l’unione dell’opera degli uomini più illustri, facendo uso di ricchezze infinite, per lungo tempo, l’hanno resa splendida con i capolavori degli artisti, raccolti in tutto il mondo. E quegli uomini, edificando questa città, a poco a poco, la lasciarono, così come tu la vedi, ai posteri, quale monumento della virtù del mondo. Per la qual cosa, chi facesse oltraggio a tanta grandezza, si renderebbe reo di grave delitto verso tutti gli uomini dei tempi futuri: infatti, egli priverebbe gli avi del monumento al loro valore, e ai posteri toglierebbe la possibilità di godere della vista delle opere eccelse degli antenati. Poiché le cose stanno così, tu devi confessare che necessariamente una di queste due cose deve accadere: o tu in questa guerra sei vinto dall’imperatore, oppure, se ciò può essere possibile, sei tu a batterlo. Ora, se tu trionfi, distruggendo Roma non perdi però una città altrui, bensì la tua propria, o illustrissimo uomo: conservandola invece, tu puoi reputarti arricchito, a buon prezzo, del più splendido possedimento della terra. Se, invece, la fortuna ti sarà avversa, la conservazione di Roma sarà un buon motivo affinché tu trovi grazia agli occhi del vincitore, laddove la distruzione sua ti toglierebbe speranza di essere accolto con mitezza e di avere qualche vantaggio. Fatta l’opera, scenderà la sentenza del mondo, che in ogni caso ti giudicherà: infatti, la bella o brutta fama dei principi dipende necessariamente dalle loro gesta».

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